Parola, colore, suono Linguaggio e sinestesia nell’arte contemporanea (Parte seconda) di Amj (29/07/2024) |
Parole in libertà nelle Avanguardie
A livello generico si può dire che il linguaggio è essenzialmente comunicazione e nasce dall’associazione di un contenuto, il significato, ad una espressione di tipo sensoriale, il significante, che ha il compito di renderlo manifesto. Ferdinand de Saussure, padre della linguistica, definisce il linguaggio “eteroclito” per evidenziare il fatto che esso sia due cose allo stesso tempo, cioè pensiero e suono; ma la parola è anche forma, in quanto grafema o insieme di grafemi, e di conseguenza colore e dinamismo. Le Avanguardie, nelle loro sperimentazioni, spesso hanno messo in relazione arte e scrittura; non si può non citare, a proposito, la teoria del paroliberismo formulata da Filippo Tommaso Marinetti in ben tre manifesti. Nel “Manifesto tecnico del Futurismo” del 1912 Marinetti si prefigge di distruggere la sintassi mediante l’uso di determinati strumenti, quali la disposizione casuale dei sostantivi, l’abolizione di aggettivi, avverbi e puntaggiature (che andranno sostituite con i segni della matematica e con quelli musicali), l’uso dei verbi all’infinito, l’abolizione dell’-io- e con esso di tutta la psicologia. Marinetti paragonava la logica al piombo, cioè ad un peso di cui ci si debba disfare per giungere a quella che lui chiamava una immaginazione senza fili. Per lo scrittore futurista era, inoltre, importantissimo creare una fitta rete di analogie , nonché introdurre nella produzione letteraria il rumore, il peso e l’odore.
Una tavola parolibera di Marinetti | Il calligramma 'Il pleut' di Apollinaire |
Assimilabile alle ricerche futuriste fu il cosiddetto calligramma di Guillame Apollinaire, termine da lui stesso coniato per indicare qualcosa a metà strada tra la calligrafia e l’ideogramma, dove la composizione poetica si dispone nella pagina in modo da formare un’immagine che ha un rapporto di tipo analogico con il contenuto poetico, come rivela chiaramente il calligramma Il pleut (piove) che evoca visivamente il lento scivolare delle gocce di pioggia. Alla totale ribellione alla razionalità giunse il dadaista Tristan Tzara, il quale nel suo “Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro” suggeriva un metodo per comporre una poesia dadaista con parole ritagliate dall’articolo di un giornale, messe in un sacchetto, agitate, tirate fuori ad una ad una e in seguito organizzate nello stesso ordine di estrazione; “La poesia vi rassomiglierà”, concludeva Tzara. Successivamente i Surrealisti, con i loro dettati automatici, condussero questa aspirazione all’illogicità verso l’esplorazione del mondo dell’inconscio. Così parlava Andrè Breton a proposito dell’automatismo: “è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione”.
La parola e il colore
Dunque, a partire dalle ricerche futuriste, la parola si libera nello spazio. Un movimento affermatosi agli inizi degli anni Cinquanta, che prende il nome di poesia concreta, raccolse l’eredità di tali sperimentazioni delle prime Avanguardie. Sostanzialmente il poeta concreto è un artista che usa il significante non come semplice strumento di comunicazione ma come un’immagine, evidenziando le capacità iconiche della parola. Ad esempio, nell’opera ”Solo nel sole” Carlo Belloli, un artista che si trova in una posizione intermedia tra il Futurismo e la poesia concreta, evidenzia la corrispondenza tra il colore giallo e la parola sole; inoltre, le parole si allontanano prospetticamente secondo la diagonale dello spazio quadrato, suggerendo un senso di dinamismo che una tinta calda come il giallo di per sé è capace di comunicare. Tra le più brillanti sperimentazioni vi sono quelle di Alighiero Boetti, esponente dell’arte povera, come la cosiddetta quadratura del linguaggio, con cui la parola viene messa in stretta relazione ad equilibri geometrico-spaziali e matematici. Boetti fu abile anche nell’inventare nuove modalità di lettura, stravolgendo la linearità linguistica, come nell’opera ”Diventare il vento”.
Carlo Belloli, "Solo nel sole", 1964 | Alighiero Boetti, "Diventare il vento", 1985" |
Eugenio Miccini, esponente del “gruppo 70” di Firenze, nella sua opera ”Il poeta incendia la parola” utilizza iconicamente, e potremmo dire prevedibilmente, il colore rosso in un collage che utilizzando ritagli di giornale simula l’andamento sinuoso delle fiamme (e sarebbe stato impensabile immaginarlo verde o blu), giungendo alla sintesi di forma, colore e linguaggio. Nella poesia fonetica, che era stata già sperimentata dalle avanguardie storiche e che viene riproposta dai poeti concreti, alcune composizioni poetico-visive venivano recitate. Le parole di Pierre Garnier sono particolarmente chiarificatrici a riguardo: “Ogni parola è una pittura astratta – Una superficie – Un volume – Superficie sulla pagina – Volume nella voce”. Il significante, analizzato e valorizzato in ognuna delle sue componenti, visiva e sonora, rivendica dunque un’attenzione che era stata data esclusivamente al significato, considerato da sempre come l’elemento principale della comunicazione. Non si può non citare il movimento Fluxus, nato negli Usa nei primi anni Sessanta, ed i suoi happenings in cui poesia, musica, teatro e danza si fondevano, secondo una concezione interattiva dell’arte, in cui anche il ruolo dell’osservatore era cambiato. In Italia vi aderì, tra gli altri, Giuseppe Chiari, artista poliedrico attivo nella musica ma anche nelle arti visive, creatore di performances in cui la musica si coniugava al linguaggio, alle immagini e al gesto, continuando quella ricerca mai interrotta di un’arte totale o, come Kandinskij soleva definirla, monumentale.
Eugenio Miccini, "Il poeta incendia la parola", serigrafia | Charlotte Moorman e Nam June Paik, la performance "Tv cello", 1971 |